Domande frequenti sugli imballaggi in plastica vs. carta
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February 9, 2023
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La plastica, come la carta, è un materiale con cui abbiamo a che fare tutti i giorni. Questi materiali sono ovunque nelle nostre vite, potreste quindi domandarvi quanto siano sostenibili e riciclabili, in particolare nel caso degli imballaggi monouso. È una domanda importante, specialmente a fronte di una costante crescita della produzione della plastica su scala mondiale. Nel 2021 sono stati generati 139 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica monouso a livello globale un incremento di 6 milioni di tonnellate dal 2019. Se non si interviene, la fondazione Ellen McArthur stima che, entro il 2050, gli oceani potrebbero contenere più plastica che pesci. In questo articolo vi spiegheremo la differenza tra il riciclo della plastica e quello della carta e daremo risposta alle principali domande relative alle caratteristiche di sostenibilità di questi materiali.
Quando la maggior parte di noi pensa alla carta, immagina un prodotto derivato dalla polpa di cellulosa, che è la forma attualmente più diffusa. Nella storia, tuttavia, la carta è stata realizzata anche con fibre di altra provenienza come erba, corteccia e scarti tessili. Oggi la carta che contiene materiali alternativi, come le fibre di erba, è ancora disponibile.
Il punto chiave della sostenibilità della carta vergine è che gli alberi sono una fonte rinnovabile. Gli alberi che diventano carta possono crescere in foreste gestite in modo sostenibile, preservando l’habitat delle foreste vergini e creando una fonte che possa essere rigenerata invece che esaurita. Nelle foreste a gestione sostenibile, è prassi consolidata piantare diversi alberi per ogni singolo albero che viene utilizzato. Organizzazioni come l’FSC® hanno stabilito delle regole relative alle modalità di raccolta dei prodotti e alle caratteristiche che definiscono una foresta gestita in modo sostenibile, prestando attenzione alle piante, agli animali e alle persone che vivono e basano la propria sussistenza su quegli ecosistemi. I consumatori posso scegliere prodotti in carta che siano certificati da gruppi di gestione forestale per essere sicuri di contribuire realmente all’economia circolare.
Maggiori informazioni sull’economia circolare
La maggior parte della plastica utilizzata negli imballaggi deriva da combustibili fossili. Si stima infatti che il 98% della plastica monouso derivi da questa fonte, il che significa che praticamente tutti gli imballaggi in circolazione per i prodotti usa e getta hanno origine da petrolio e gas. A parte i processi utilizzati per la sua estrazione, che di per sé possono essere dannosi per l’ambiente, il combustibile fossile è una risorsa limitata che non si rigenera come gli alberi e l’erba. Si cerca costantemente di trovare risorse più sostenibili per la produzione della plastica, in particolare con lo sviluppo di materiali bioplastici che utilizzano ingredienti primari più sostenibili.
È opinione comune che la bioplastica sia una plastica realizzata da materiale biologico che si degrada in un ambiente naturale, in realtà il termine bioplastica racchiude diverse categorie di plastica con differenti qualità e, poiché le qualità di questi materiali possono essere molto diverse tra loro, il termine bioplastica non dovrebbe essere considerato garanzia di sostenibilità di un materiale.
Alcune bioplastiche sono plastiche prodotte da materie organiche. I materiali utilizzati per la produzione di queste bioplastiche sono generalmente zuccheri, amidi e olii derivati da biomasse come patate, olii vegetali e canna da zucchero, solo per citarne alcuni. Il vantaggio principale di queste bioplastiche è che la materia prima deriva da fonti biologiche e quindi rinnovabili a differenza dei tradizionali combustibili fossili raffinati.
Alcune bioplastiche sono in grado di biodegradarsi in condizioni adeguate, tuttavia la questione relativa al tempo necessario per biodegradarsi in natura ha generato accuse da parte degli ambientalisti nei confronti dei sostenitori. Per esempio, le bioplastiche che richiedono condizioni di calore elevato per degradarsi in modo efficace e possono essere compostate negli impianti di compostaggio industriali, tecnicamente possono essere definite “compostabili”, ma non si degraderanno velocemente all’interno di un tipico cumulo di compostaggio da giardino come il termine potrebbe far credere alla maggior parte dei consumatori.
Fonte immagine: European Bioplastics Fact Sheet
I substrati vengono comunemente considerati bioplastiche se rientrano in una delle seguenti categorie:
A base biologica, ma non biodegradabili. Queste plastiche vengono sintetizzate usando materie prime organiche invece di combustibili fossili, ma non si biodegradano in natura.
Alcuni esempi di questi materiali sono: polietilene (PE), polietilene tereftalato (PET), politrimetilentereftalato (PTT) e polietilene furanoato (PEF), tutti a base biologica.
A base di combustibili fossili e biodegradabili. Queste plastiche vengono sintetizzate utilizzando combustibili fossili, ma possono biodegradarsi nelle condizioni adatte.
Tra questi materiali troviamo il polibutilene adipato tereftalato (PBAT) o il policaprolattone (PCL).
A base biologica e biodegradabili. Queste plastiche derivano da materiali biologici e si biodegradano con il tempo nell’ambiente naturale.
Alcuni esempi includono: acido polilattico (PLA), poliidrossialcanoati (PHA) e polibutilene succinato (PBS).
Poiché la carta è ottenuta da fibre naturali, può biodegradarsi in natura grazie all’azione di microorganismi e tornare all’ambiente in un tempo che va da poche settimane ad alcuni mesi. Un clima più caldo e più umido può aumentare la velocità di biodegradazione della carta, quindi può anche essere compostata.
La biodegradabilità della carta può essere rallentata da alcuni trattamenti chimici o dall’aggiunta di rivestimenti plastici, in questo caso anche se la carta si biodegrada, rimarranno residui di microplastiche. Considerato che la carta può avere una nuova vita grazie al riciclo, la scelta migliore è utilizzare la raccolta differenziata per i rifiuti di carta, contribuendo così a conservare la materia prima e sostenere l’economia circolare.
I diversi metodi e materie prime utilizzati per produrre i polimeri di plastica influiscono sulle modalità di degradazione nel tempo. In natura esistono diversi polimeri, ma quelli della plastica sono un prodotto umano. Le qualità che rendono la plastica così utile, come la resistenza all’usura, sono notevoli svantaggi quando si inquina l’ambiente con prodotti plastici. Gli oggetti in plastica impiegano decenni se non secoli per degradarsi e quando ciò accade si frammentano in particelle di microplastica. Le microplastiche sono state trovate in ogni tipo di ambiente sulla terra, dalle calotte polari alle foreste pluviali tropicali.
Il processo di degradazione in microplastiche significa che la plastica tradizionale è un materiale degradabile, ma non biodegradabile, termine che si riferisce ai materiali che si degradano grazie all’azione di microorganismi e batteri che li convertono in elementi naturali nell’ambiente.
Alcuni tipi di bioplastiche, come i PHA, sono prodotti da processi biologici e sono quindi in grado di biodegradarsi in un ambiente naturale. Non tutte le bioplastiche sono biodegradabili in natura. Alcune possono degradarsi biologicamente in specifiche condizioni, per esempio molte bioplastiche compostabili necessitano di impianti di compostaggio con temperature elevate per degradarsi, al contrario dell’immagine del cumulo di compostaggio da giardino che rievoca il termine in un consumatore tipico. Attualmente non esistono molti impianti di compostaggio specializzati, quindi la maggior parte della plastica prodotta e venduta come compostabile in realtà non viene compostata (a giugno 2021, esistevano 185 impianti per il compostaggio industriale negli USA e solo 170 nel Regno Unito).
Negli USA, si stima che la percentuale totale di riciclo della plastica sia solo del 5-6%. Considerando i 40 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica generati nel 2021, significa che quasi 38 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica non sono stati riciclati, ma sono stati inceneriti o smaltiti in discarica. Grazie a un’infrastruttura ben sviluppata per il riciclaggio della carta, oltre alla diffusa consapevolezza della sua riciclabilità tra il pubblico, in USA la percentuale di riciclo della carta è del 68% rispetto al 33,5% registrato nel 1990.
Nei paesi europei, circa un terzo della plastica immessa nel flusso dei rifiuti viene riciclata. La percentuale di riciclo della carta nel 2020 è stata dell’81,6% ed è rimasta ogni anno sopra l’80% dal 2008.
Anche le plastiche che sono relativamente riciclabili con le infrastrutture esistenti hanno fibre che generalmente non permettono più di 2-3 usi prima di non essere più adeguate per nuovi prodotti. Il riciclo della plastica viene generalmente considerato come un ciclo infinito in cui lo stesso materiale può essere riutilizzato più volte, ma in realtà la qualità del materiale plastico si riduce ad ogni riciclo. In un processo che viene talvolta denominato “downcycling”, questi materiali possono essere utilizzati solo per realizzare prodotti di qualità inferiore, a meno che si inserisca del materiale vergine per aumentarne la resistenza.
La carta può essere generalmente riciclata fino a sette volte prima che le sue fibre non siano più idonee al riciclo, quindi complessivamente è un materiale più riutilizzabile. Inoltre, con il riciclo le fibre di carta si accorciano e diventano utili per altre applicazioni. Un buon esempio di carta che spesso incorpora materiali altamente riciclati è quella utilizzata per i giornali e la differenza di consistenza e resistenza è evidente se confrontiamo questo materiale con un pezzo di carta kraft vergine altamente resistente. Unendo diversi gradi di carta e fibre riciclate da diverse fonti, può essere realizzata un’ampia gamma di tipi di carta utilizzando contenuto riciclato.
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